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Avventura numero 33 -- Il grigio --

Lo incontavo tutte le mattine all'uscita del supermercato.
Lo potevi trovare ogni giorno li', dove i carrelli mulinellano alla ricerca di uno spazio vitale per raggiungere, con una accelerazione degna di un centometrista, i portelloni delle macchine - come un vigile urbano a piazza Venezia allarga le braccia non si sa se per indicare il flusso di automobili consentito o perche' ormai arresosi all'evidenza di non poter governare il serpentone di auto che preme, come una Hydra a molte teste, da tutti i lati.
Si sedeva a terra, confondendosi col suo completo
grigio con il colore dell'asfalto, interrompendo le strisce gialle e bianche della segnaletica orizzontale come una aiola postmoderna di viole e rose di piombo. L'unica macchia di colore era il poco di rosa che sfuggiva dalla manica della giacca, una mano con le dita incollate in una muta richiesta di aiuto.

Fu quella mattina che un gruppo di coatti griffati evidentemente esuli dall'impegno scolastico passarono li' con le mani trasudanti pizza con la mozzarella e umide di rugiada alla cocacola, le voci sgraziate a comporre una cacofonia di slogan da stadio nei confronti delle signore traboccanti sporte e spingenti carrozzine, in equilibrio precario su improbabili tacchi a spillo alle 9 di mattina.
Fu quella mattina che il piu' alto e grosso del gruppo, la faccia rubizza e la testa rasata sul bomber paramilitare, non vide l'aiola grigia, e fini' rovinosamente a terra in un tripudio di bibita gassata e
mozzarella e sugo.

Avevo appena finito di depositare la scarna spesa quotidiana nella mia Golf, parcheggiata a pochi metri, e devo dire che la scena di quella montagna di carne e vernacolo romanesco ribaltata e spalmata sull'asfalto mi incuriosi', ma comunque meno del fatto che lui non si era mosso affatto: una pietra miliare sul ciglio del caos, nemmeno il cucchiaio rosa delle dita sembrava essersi minimamente piegato alla violenza dell'urto.

Ero pronta a tornare a casa, quando la situazione precipito'.

La montagna si rialzo' scrollandosi briciole e cocacola come un cane dopo un tuffo nelle acque di Martignano. E il cane addento' l'osso, lanciandosi feroce contro la statua di sale
grigio, schiumando rabbia e sputando orgoglio ferito, mentre i compari di merendina si facevano attorno, catalizzando l'energia psichica del gruppo, e convogliandola sul loro amico, incitandolo a colpire forte quella immondizia invisibile, quell'ectoplasma solido, quella indegnita' di materia grezza.
Quando il primo colpo di stivale si abbatte' sul suo fianco, quasi mi tappai le orecchie per attutire il rumore delle ossa frantumate e quasi mi coprii gli occhi per non vedere sbriciolarsi la figura ancora immobile e a capo chino.Ma non percepii crac e non vidi volare frammenti.

Il tempo si congelo' come una scena di Matrix, la scarpa dalla para pesante e le punte metalliche sembrava incollata sull'omero della figura in
grigio.
Registrai meccanicamente un rumore sordo di cuoio e metallo e gomma su granito e vidi la massa stupita del gigante riportare a terra il piede e alzarlo ancora e colpire ancora, nello stesso punto e poi ancora ma sulla testa, sulle gambe, sul naso, e ciononostante nulla si mosse se non le onde del suono martellante di materiale di stivale che colpisce la pietra.

Tum tum tum tum tum tum tum tum.

Il ritmo e la forza dei colpi scemo' incredula, il cerchio di astanti perse consistenza, smarri' coesione, comincio' ad allargarsi come cavalli in quadriglia per poi perdere simmetricita' e diventare un cumulo di facce incredule mentre il grassone non ha piu' la stessa sicurezza non reagisce all'esperienza incredibile e non la sa inquadrare nella sua storia di scontri dietro una sciarpetta e fughe tra le siepi che circondano lo stadio.

E la scena riprese la velocita' della vita normale, si scollo' dalla melassa spaziotemporale e il gruppo si rianimo', liquido' la faccenda con qualche imprecazione e i soliti slogan, si fece grande di colpire ancora, stavolta a turno, la forma
grigia e poi, piano piano, si allontano', una mano in tasca e l'altra ancora armata di pizza al sugo e mozzarella.
Mi avvicinai cauta al grigio e per la prima volta depositai tra quel cucchiaio proteso e immobile, una moneta.

Nonostante io torni ogni giorno in quel supermercato, ed ogni giorno ormai lasci a quel destino
grigio
la moneta con cui avevo liberato il carrello, quella fu l'unica volta in cui mi parve di scorgere, in quello spartitraffico dell'umano viavai, un sorriso.

Avventura numero 32 -- Lo Smilzo e il Chioccia --




SMILZO

Nun capisco che succede stasera.
Me so' svejato tardissimo che ieri sera c'era quer cazzo de rave a Palmarola, e ancora cio' un mal di testa assurdo.
Me so' preso un caffe' e so' scappato ar club, ma erano tutti allucinati e annaveno de corsa, cosi' ho preso lo scooter e ora ecchime qua, alla palla della Sud.
Chioccia e' esaggitato piu' der solito.
Commanna a destra e a sinistra, organizza, e tutti obbedischeno, ognuno pare che cia' un compito preciso.
Colla coda dell'occhio vedo er Ciancica e Femore che tirano fori dalla macchina i bastoni, e intanto sento veni' una gran caciara da lungotevere, e ecco che ariveno un gruppo de lazziali.
Malimorta', che cazzo ce stanno a fa' questi qui stasera che gioca la Roma... accelero er passo e subbito so' de fianco a Chioccia... "A Chio', ce stanno li cuggini, ecchili che ariveno.. ma che vonno questi aho', ma che so' matti, scoppia un macello scoppia..."
Er Chioccia me guarda sornione e me dice de tranquillizzamme:"Sta carmo, a Smilzo, e levate la cipiccia dall'occhi. E' tutto sotto controllo, anzi, vie' co' me che annamo a parla' cor Banana, er capo loro...'
Nun me fido troppo, pure se er Chioccia sembra sicuro de quello che dice. Lo seguo un passo dietro, pronto a paraje er culo ar primo cazzotto che vola. E invece er Chioccia e er Banana se danno er cinque, se scambiano du' parole decise, sento parla' de la caserma a Guido Reni e der Coni, poi li lazziali fanno dietrfront e partono de corsa a raggera verso ponte Duca D'Aosta.
Chioccia appare soddisfatto, me abbraccica alle spalle, lui ch'e' arto quasi du' metri co' quer cranio pelato penso sempre che me sta pe' stritola', e invece e' sempre gentile, forse perche' so' l'urtimo arivato ner gruppo e so' pure er piu' pischello. Dice che me deve parla', che cia' na missione pe' me....

CHIOCCIA

Tutto procede per il meglio.
Macchia Nera m'ha chiamato ner pomeriggio, e m'ha spiegato tutto pe' filo e per segno.
So' dumila euri che me fanno comodo, ma questi so' cazzi mia e mejo che l'artri nun sanno gnente. Lo smirzo e' rincojonito come ar solito nun sa' gnente de quello ch'e' successo oggi.
Se guarda attorno spaurito, me tocca fomentallo prima che se caca sotto.

"A smirzo vie' qua che stasera c'e' bisogno de tutti. Hanno ammazzato uno dei nostri, smirzo, uno dei nostri, l'hanno ammazzato come un cane in mezzo a la strada...'

Lo smirzo barcolla coll'occhio spalancato, se vede che er regazzino e' tenero, pero' cia' la grinta giusta, perche' allo spavento iniziale se sostituisce la rabbia, quella cieca, quella che viene da dentro quanno sei vittima de un'ingiustizia.

"Uno de noi? ma 'ndove? ar clubbe? ma chi e' stao a Chio'... je la dovemo fa' paga'.."

"None, no ar club... in autostrada.. era un tifoso come noi, un lazziale... nun fa' cosi' semo tutti uguali quanno un bastado cellerino te punta 'na pistola alla tempia e te brucia er cervello.... stasera e' guera je la dovemo fa' vede a tutti chi semo, nun ponno spara' manco a un merdoso lazziale, che' noi ULTRAS je mettemo a fero e foco la citta'..."

Smilzo e' perplesso, ma diggerisce l'informazione che un cellerino ha sparato, e pare pronto a partire.
E' ancora pisquo, pero', nun posso fa' affidamento pieno su de lui... lo manno cor gruppo meno convincente a fa' er picchetto sur ponte, che nun devono fa' passa' nisuno... lo smirzo se arza la sciarpetta fino a sotto l'occhi, se cala er cappuccio alle sopracciaglia, che je rimangheno fori solo l'occhi spiritati... me da' er cinque, e parte de corsa coll'artri.

E' ora che chiamo Macchia Nera e che lo tengo informato.
Poi me tocca da' er buon esempio, tanto stasera li cellerini se cacheno sotto, e nun reaggiscono...

SMILZO

So' le due de notte quanno rientro.
Puzzo de sudore, sigarette, cannabis, e de paura.
Mi padre e' in piedi, cia' er secondo turno de notte. Ma tanto ce lo so che sarebbe stato svejo lo stesso, e' sempre svejo quanno io sto' fori fino a tardi... anche se cerca de nun fassene accorge. Lo trovo in cucina, colla divisa da guardia giurata stirata perfetta, che da un uomo solo nemmeno te lo aspetti. E' uno preciso mi padre.
Me guarda e pare che aripija colore. "Aho.. ma hai sentito che macello... Roma e' a fero e foco, stasera... meno male che me tocca l'EUR, e' la prima vorta che so' contento de anna' a lavora' lontano... ma tu ndo sei stato fino a quest'ora..."
Nun cio' core de raccontaje la serata passata sotto la pioggia a imbrutti' a la gente drento a le machine. Come faccio a riccontaje li motorini che avemo buttato pe' tera, li cassonetti a foco e quella Vorvo che li' vicino s'e' appicciata come un furminante..."Ero da Sergio a copiamme l'appunti de scola che domani c'e' er compito in classe..."
Lo vedo che nun ce crede tanto, anche perche' so' entrato co le mano in saccoccia e senza uno straccio de fojo in tasca... sospira, se infila quer berretto che fa tanto carrubba, se sistema quella pistoletta che pare plastica che nun je servirebbe a gnente in caso de bisogno... si quarche jena l'aggredisse... me se avvicina, me fa una carezza... nun me ricordo l'urtima carezza de mi padre... me saluta, esce.
Me immaggino poraccio che faccia avrebbe fatto si abbitavamo ar Fleminghe e se fosse ritrovato la vecchia Duna bruciata come quella Smart che come una torcia illuminava la strada a giorno...
Me accenno una paja e me butto sur letto.
Nun so' perche' ma so' tanto stanco...

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