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Avventura numero 14 -- L'uccello --

"Signo', scusi, che me potesse regge l'ucello?"

Svetlana, in fila al botteghino, un metro e ottanta di nordica bellezza che diventavano quasi due metri grazie a due assurde calzature con una zeppa da record, stava per liberare cinque dita laccatissime ma sempre cinque dita sulla faccia del buzzurro che, con tipico accento reatino, le aveva rivolto una simile profferta alle sue spalle; si girò inviperita, occhi di ghiaccio al di sopra di una provvidenziale sciarpetta giallorossa utile più per proteggere la pelle slavata e pallida dalla tagliente tramontana nordica che per ragioni di fede, e non trovandosi davanti nessuno, dovette chinare il capo per accorgersi che l'importuno burino non era altri che un soggetto più largo che lungo, ben al di sotto del metro e sessanta ma anche ben al di sopra dei 90 chili.

Con il volto rubizzo non si sa se per le sambuche consumate in numero copioso o per reazione al gelido vento del nord, Sandrone, detto Androne vista l'ampia circonferenza del ventre, la guardò con liquidi occhi porcini e bocca bisunta da pane e coppa, e con un gesto del capo le indicò il bellissimo merlo indiano che stazionava placido sulla sua spalla.

"A signo', se me regge l'uccello, cerco de piglia' i soldi pe' lu bijetto, che sinno' poi questi vanno de prescia e 'nvece de lu posto mejo me riserverebbero quarche angoletto de sguincio, che poi una cima io nin zo', e nu vedrebbi gnente..."

Non appena il pennuto fu trasferito sul titubante lunghissimo indice di Svetlana, l'animale lanciò un fischio lacerante e cominciò a cantare a squarciagola "Bella topona, apri le cosce, lascia passare le Brigate Giallorosse".

Svetlana sgranò tanto d'occhi, e li sgranò di più quando si rese conto che Androne, anziché essere imbarazzato, si era vieppiù gonfiato d'orgoglio a seguito della performance canora del proprio animale.

"Sentito signo'? St'ucello canta mejo de Pavarotti, cia' proprio lu sentimento... modestia a parte, je cio' 'nsegnato tutto lu repertorio de la curva, a st'ucello mio..."

Come a confermare le parole del padrone, il volatile lanciò un altro fischio e intonò gracchiante: "Ollelle', Ollalla', faccela vede', faccela tocca'".

"E poi, come direbbe lu mezzo parende mio che ce capisce co li computer, è puro sensibbile al contesto... a seconda de dove se trova, riesce sempre a canta' la canzone giusta..." incalzò Androne mentre ravanava pericolosamente nelle saccocce non si sa bene se alla ricerca del denaro per i biglietti o in un subdolo atto masturbatorio.

Nel frattempo, la fila si andava smaltendo, e Svetlana riuscì ad acquistare il proprio tagliando, mentre Androne, aveva finalmente smesso di smucinare e esibiva una banconota da 500 euri talmente bisunta da rafforzare l'ipotesi onanistica.

"Signo', passi puro le guardie, che a voi donne nun ve perquisischeno mica, poi appena passato er controllo ve levo l'incomodo dell'ucello..."

Svetlana effettivamente superò i controlli, e quando si girò per vedere che fine avesse fatto il rubizzo proprietario del merlo che adesso si era appollaiato placido e silente sulla sua spalla, vide Androne alle prese con un cellerino alquanto scrupoloso.

Fu allora che il merlo cominciò a urlare "Cellerino, figlio di puttana, Cellerino figlio di puttana!"

Subito Svetlana fu circondata da un nugolo di poliziotti, e mentre l'orda degli ultras giallorossi approfittava della distrazione delle forze dell'ordine per far passare coltelli, bottiglie, bombe molotov e alcuni chilogrammi di pakistano, la povera ragazza fu condotta al più vicino gabbiotto, le furono prese le generalità e, constatato che non era in regola con il permesso di soggiorno, fu tradotta, sempre con il merlo sulla spalla, verso il più vicino comando di Polizia.

Quando la sera stessa, al termine dell'incontro, Androne le si presentò davanti per reclamare il volatile, la poverina fu denunciata per percosse e molestia contro gli animali, mentre Androne veniva portato in rianimazione dopo aver rischiato di soffocare con il proprio merlo indiano ficcato giù per la gola.

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